Dal libro "Isole di cultura"

ISSIME / EISCHEME -

Walser Gemeinschaft im Aostatal

PRESENTAZIONE

Issime, Eischeme nel dialetto walser locale, è situato a circa 950 m. di altitudine, nella valle del Lys, la prima valle laterale o tributaria della Dora Baltea, entrando in Valle d'Aosta dal confinante Piemonte.
Da Pont Saint Martin si sale per 13 chilometri in direzione Nord e, dopo aver superato il ripido e stretto gradino di confluenza della valle del Lys con la valle principale e attraversato tre paesi immersi in boschi di castagno e altre latifoglie, paesi che appartengono all'area franco-provenzale propria di tutta la Valle d'Aosta, si giunge in una conca amena e pianeggiante dove si è sviluppato l'abitato di Issime. Questo bacino è il risultato del ritiro dei ghiacciai del pleistocene e ha offerto, fin da epoca remota, un luogo ideale per l'insediamento umano, trovandosi ad una altitudine che permette la permanenza in loco durante tutto l'anno.
Fin qui si spinsero i primi gruppi di uomini che vi si stabilirono per praticarvi l'allevamento del bestiame e la coltivazione di pochi cereali e legumi. Appartenevano al popolo dei Salassi la cui presenza in Valle d'Aosta è la prima attestata storicamente. I Liguri e i Celti che in precedenza avevano occupato il suolo valdostano hanno lasciato traccia di sé nell'oronimia e l'idronimia ma non si hanno altri elementi certi per attribuire loro caratteristiche peculiari che abbiano riscontro nella storia locale. I Salassi entrarono in conflitto con i Romani fin dal II° secolo avanti Cristo ed è semplice supporre, perché prove documentali non esistono, che anche ad Issime si facessero sentire le conseguenze di queste lotte perché da qui, attraverso i colli, è agevole la comunicazione con le valli confinanti.
Il territorio del fondovalle è pianeggiante con l'eccezione del vasto cono alluvionale che, in epoche lontane, in un solo momento o a più riprese, si è staccato dal fianco della catena montuosa che delimita il paese ad ovest ed è la porta d'ingresso per il vallone di San Grato. L'abitato si presenta attualmente diviso in numerosi piccoli villaggi di poche case, con la fontana o il pozzo e spesso una cappella; è possibile che un tempo vi fosse anche un forno comune, di cui attualmente, però, si hanno testimonianze solo in case private. Al centro della zona pianeggiante si trova il capoluogo, z'Duarf, dove sono ubicati la Chiesa parrocchiale, il cimitero, il Municipio, i negozi e molte case antiche, intorno alla vasta piazza che accoglie il monumento ai caduti delle due guerre mondiali, il parco giochi per i bambini, nonché una copia della sedia arringaria del tribunale dei baroni di Vallaise, di cui si parlerà più diffusamente in seguito. Bisogna ricordare che la parte più antica di Issime si è sviluppata nella zona retrostante l'attuale nucleo centrale ed è chiamata z'Letz Duarf .
Il paese è delimitato a Est e a Ovest da due catene montuose che segnano il confine con le valli del biellese, in Piemonte, a oriente, e con Fontainemore, Perloz, Arnad, Challand - Saint - Victor, Challand - Saint - Anselme, Brusson, Gressoney e Gaby, a occidente e a settentrione. Il gruppo montuoso a est si presenta come un massiccio dai fianchi ripidi e rocciosi, interessato da sistemi franosi di una certa vastità e ora in parte coperti dalla vegetazione, ed è solcato da un vallone che ha ospitato un tempo gruppi umani in modo stabile, nella parte più bassa, e in forma stagionale estiva nelle zone più elevate , ricche di pascoli e di boschi . Da questo vallone scende il torrente Türrudschu, che dà il nome al vallone stesso e che raccoglie le acque di numerosi ruscelli e torrenti che formano anche alcuni bei laghetti alpini. La valle termina con il colle del Lupo, 2340 m., che si apre verso il biellese, e la sua punta più elevata è il Krecht, Monte Cresto, 2546 m. La toponomastica di questa zona è quasi esclusivamente di matrice franco-provenzale, il che denota la presenza di un insediamento umano stabile più antico rispetto agli altri due grandi valloni del comune di Issime: quello di San Grato, Sen Kroasch Gumbu, e quello di Bùrrini o Bourrines. Entrambi si aprono nella catena montuosa che delimita il paese ad ovest. Il vallone di San Grato è, fra tutti, il più aperto, vasto e ricco di nuclei abitativi, di testimonianze storiche della colonizzazione walser che ha interessato anche il vallone di Bùrrini ad esso adiacente. Anche da questi due valloni scendono due torrenti ricchi di acqua durante tutto l'anno perché alimentati da numerosi altri corsi d'acqua e da alcuni laghi in quota: il Walkchunbach e lo Stolenbach. Il primo, dopo aver superato il gradino di confluenza con una bella cascata viene chiamato Rickurtbach, dal nome dei tre villaggi che costeggia chiamati appunto z'Obra-, z'Mittel- e z'Undra Rickurt. Entrambi diventano minacciosi e pericolosi nei periodi molto piovosi, ma soprattutto lo Stolenbach ha tenuto viva l'attenzione degli amministratori locali fin dal XVI° secolo, come testimoniano i numerosi provvedimenti presi dalla comunità per prevenire eventuali esondazioni che avrebbero danneggiato irrimediabilmente il capoluogo. Tutti i corsi d'acqua confluiscono nel Lys, d'Lljéisu, che nasce dal ghiacciaio del Lyskamm, nel massiccio del Monte Rosa e attraversa la zona pianeggiante di Issime. Nel corso dei secoli numerose sono state le alluvioni che hanno devastato il paese causando gravi danni materiali e persino un morto, nella tragedia del 4 settembre 1948, ancora viva nel ricordo di molte persone.

Èischeme: das Dorf (Foto: Massimo Paganone)

Numerose sono le cime che si ergono in questo circo roccioso: z'Huare, il Corno, 2002 m., il Monte Crabun, 2710 m., z'Siahuare, il Corno dei Laghi, 2748 m., la Becca Torché, 3016 m., ai piedi della quale si apre il Col Dondeuil, 2388 m.,

verso Challand - Saint - Victor, la Becca di Vlu, z'Vluhuare, 3032 m., il Vogel, da Vuagal, 2925 m., il sottostante Col Tschasten, 2549 m., che unisce Issime a Challand - Saint - Anselme, il Nereschthuare, Mont Néry, 3057 m., e infine il gruppo di punte chiamato Wéiss Wéib, la Dama Bianca, 2517 m. . Il Mont Néry , chiamato a Challand, Punta di Isamsée e a Brusson, Becca di Frudière, fu scalato nel 1873 dall'abate Amè Gorret, accompagnato da due uomini del paese, che ci ha lasciato un resoconto dettagliato della sua impresa descrivendo il meraviglioso panorama che si gode da queste altitudini. Lo sguardo raggiunge tutte le punte della Valle d'Aosta, del Piemonte con il Monviso, fino ai monti della Valtellina , in Lombardia.
Il comune di Issime occupa una superficie di 35,02 kmq. e la sua altitudine varia da un minimo di 905 m. ad un massimo di 3057 m. La popolazione conta 406 abitanti, dato desunto dal censimento del 2001, e si distribuisce fra il capoluogo e oltre quaranta villaggi o frazioni, quasi tutte abitate per l'intero anno e che si presentano come piccoli agglomerati di due o più case, separate le une dalle altre secondo l'usanza dei Walser.

Èischeme: das Dorf (Foto: Massimo Paganone)

LA STORIA DELLA COMUNITÀ

Èischeme: der Dorfkern in einer historischen Aufnahme

Èischeme: der Dorfkern in einer historischen Aufnahme

Abbiamo già ricordato che il territorio di Issime era occupato, come il resto della Valle d'Aosta, fin dall'epoca preromana, da una popolazione discendente dal ceppo celtico-ligure, i Salassi. Questo popolo forte, fiero e molto ben organizzato nelle sue attività di allevatore e minatore, si trova ben presto a dover affrontare il nemico numero uno: i Romani. Per più di un secolo si succedono guerre sanguinose e con successi alterni, fino alla resa definitiva nel 25 a.C. , ad opera di Aulo Terenzio Varrone, sotto il regno di Augusto. Se la valle centrale della regione subisce una trasformazione radicale in tutti gli aspetti sociali, non parimente avviene nelle valli laterali dove resistono cultura, lingua e usi benché anch'essi in parte modificati.
E' risaputo che all'epoca e per tutto il medioevo le montagne non rappresentano un ostacolo insormontabile per gli abitanti delle valli, bensì un luogo di transito per entrare in contatto con altre popolazioni, per scambi commerciali e per quegli spostamenti di gruppi di individui che sempre si sono verificati nella storia umana.
I numerosi colli che si aprono nelle catene montuose, le condizioni climatiche particolarmente favorevoli e le necessità contingenti di sopravvivenza rendono possibile e favoriscono quel flusso migratorio di uomini e di esperienze che ha interessato molte valli dell'arco alpino; dall'Alta Savoia alle zone ai piedi del Monte Rosa e alle Alpi svizzere del Canton Grigioni, fino alle regioni austriache del Voralberg, al Liechtenstein per concludersi nel lontano Tirolo. Si tratta dei Walser ossia di quel popolo alemanno che dall'Alto Vallese, e più precisamente dal Goms, dove si era stabilito nel VIII°-IX° secolo su invito del Vescovo di Sion che voleva trarre migliori frutti da questi suoi territori, nel XII° secolo sceglie i sentieri impervi delle montagne per cercare nuove terre da sfruttare come pascoli per i suoi armenti e le sue greggi. Questo movimento di genti e animali dura per altri due lunghi secoli e ha come conseguenza la colonizzazione di vallate e conche disabitate, ma ricche di zone erbose, di pascoli, di boschi e di acque. I Walser ottengono dai Signori di poter coltivare i territori assegnati in cambio di un affitto annuale immutabile nel tempo e dell'ereditarietà del fondo: si tratta del cosiddetto affitto ereditario, un tipo di contratto conosciuto e praticato nell' Europa centrale e settentrionale del tempo e che viene adottato dai coloni walser a garanzia del loro lavoro di dissodamento e di messa a frutto di terreni altrimenti incolti e abbandonati.
Attraverso i colli del Teodulo, della Bettaforca e del Pinter, i Walser raggiungono le vallate valdostane che si sviluppano ai piedi del Monte Rosa: la val d'Ayas e la valle del Lys e vi si stabiliscono senza contrasti perchè, come abbiamo ricordato, scelgono le zone non occupate in modo stabile da nessuno. Sorgono così i villaggi di Résy, Cunéaz e Varda tutti situati a più di 2000 metri di altitudine, nella valle di Ayas, mentre, nella valle del Lys, i Walser possono colonizzare tutta la conca dove sorgono ora i due comuni di Gressoney e spingersi, sempre spostandosi sui sentieri in altitudine, fino ai valloni di Bùrrini e di San Grato, sopra Issime, e creare il villaggio di Niel, ora nel territorio comunale di Gaby.
Questo comune ha fatto parte del comune di Issime fino al 1952 quando, con la Legge Regionale n° 1 del 31/3/1952, la frazione di Gaby viene costituita in comune autonomo. Nel verbale del consiglio comunale del 11/11/1951 si legge " ... il consiglio comunale è fermamente convinto che l'autonomia dell'una e dell'altra frazione del Comune torna a vantaggio di entrambe, sia colla eliminazione di un secolare antagonismo che ne paralizza l'attività sia perché - come è noto - l'autonomia suscita e sprona lo spirito di iniziativa ed anche di sacrificio..." . Monsignor Jean-Joconde Stévenin, originario di Gaby, uomo di vastissima cultura e impegnato politicamente nella storia locale e valdostana, ebbe a dire: " ... il nostro Consiglio si è dimostrato, in ciò, coerente con sé stesso, con i suoi principi di decentralizzazione e di rispetto dei gruppi etnici e linguistici. In effetti, la storia aveva unito due popolazioni di origine e di lingua differente: quella di Gaby di origine gallo-latina, con un patois valdostano, e quella di Issime, di ceppo germanico, con un dialetto tedesco" .
Là dove decidevano di stabilirsi, i Walser davano al paesaggio un'impronta particolare che lo distingueva dalle zone occupate dalle popolazioni latine. Essi non costruivano villaggi formati da numerose abitazioni in pietra addossate le une alle altre, bensì case sparse o raggruppate in piccoli nuclei di poche abitazioni ben separate fra di loro, al fine di evitare gravi danni in caso di incendio ma anche perché più rispondenti al loro individualismo familiare che non vuole assolutamente dire isolamento, egoismo o noncuranza della vita altrui. Al contrario. La viva e sentita partecipazione corale ai più diversi momenti del vivere sociale si manifesta attraverso l'aiuto reciproco, la condivisione della gioia e del dolore, la delicatezza dei sentimenti, il tutto consolidato dalla consapevolezza della radice comune che si è nutrita, per secoli, di lavoro estenuante, di sacrifici e di conquiste, di solidarietà e di speranze.
Così quando costruiscono le loro case e i loro villaggi, le chiese, i ponti e i sentieri, i mulini e i canali di irrigazione, esprimono il loro saper fare acquisito con la sperimentazione personale e sociale. Usano i materiali da costruzione che la zona offre, quindi legno e pietra. L'unione di questi due elementi di cui sono ricchi i valloni di Issime, permette ai nuovi venuti di lasciare testimonianze architettoniche di mirabile fattura. Naturalmente le costruzioni che oggi possiamo ammirare non risalgono oltre il XVI° secolo, proprio per la natura stessa degli elementi formanti, tuttavia esse ci arricchiscono di conoscenze indispensabili per capire la vita dei nostri antenati.
Su di un basamento in pietra che accoglie la stalla per il bestiame, bovini, caprini e ovini, vengono edificati, generalmente, due piani in legno, costituiti da grandi tronchi di larice o abete, squadrati e incastrati gli uni agli altri, in modo da formare un tutt'uno molto stabile e solido. I tronchi del primo piano sono lavorati con molta cura al fine di essere il più aderenti possibile e, per aumentare la coibentazione, viene messo, tra un tronco e l'altro, uno strato di muschio e licheni, precedentemente puliti ed essiccati.
In questa parte si trova la cucina, che ha una parete in pietra per il focolare, e una stanza che serve da soggiorno e camera da letto: in essa sono collocati la stufa in pietra, i letti, un tavolo, panche e sgabelli, e varie attrezzature per lo svolgimento, durante il periodo invernale, di piccole attività artigianali quali la realizzazione di utensili contadini e oggetti casalinghi in legno, la filatura della lana, la tessitura di semplici drappi di lana o di canapa, la lavorazione di capi di abbigliamento e di calzature; in essa, al caldo della stufa e degli animali che si trovano nella stalla sottostante, le ore scorrono lente e operose, animate da racconti fantastici e leggende secolari, popolati da streghe, fate, gnomi e folletti, ma anche spiriti e persino il diavolo.
Alle pareti e nella zona occupata dai letti sono appesi numerosi quadri a soggetto religioso che circondano un altarino dedicato alla Santa Vergine quale espressione del profondo sentimento cristiano di questo popolo.
Nel piano superiore si trovano ancora una stanza con uno o più letti, da usare nel periodo estivo, una cassapanca per riporre qualche indumento, la rastrelliera per il pane di segale cotto una o due volte l'anno e alcune sbarre in legno a cui vengono appesi i salumi preparati nel periodo natalizio; c'è poi il fienile dove viene stivato il fieno raccolto durante l'estate nei prati più vicini alla casa, quando il bestiame si trova negli alpeggi più alti. In un secondo fienile più piccolo, proprio sotto il tetto, viene riposto il fieno del secondo taglio, se necessita di terminare l'essiccazione e quello che è stato tagliato dalle donne di casa, con il falcetto a forma di mezzaluna, nei terreni comuni ai villaggi della zona.
Il tetto è a due spioventi , ricoperti da pesanti lastre di ardesia e molto ampi per proteggere la parte in legno sottostante e offrire un riparo alle piccole attività che è necessario svolgere in prossimità della casa.
A volte è possibile passare da un piano all'altro attraverso una scala interna così come si può creare un vano abitativo al pianterreno, nella stalla stessa, separato dagli animali da una parete di legno a metà altezza: questo per sfruttare il calore prodotto dal bestiame.
Infine, quasi sempre, c'è almeno un balcone che serve per tanti usi: far seccare il fieno o la legna, sciorinare i panni che però, spesso, vengono stesi sui prati vicini, riposarsi un momento nel silenzio della sera dopo una giornata tutta dedicata al lavoro.
Accanto a questa costruzione, un altro edificio più semplice e più basso, anch'esso chiamato stoadal e formato da una base in pietra, nella quale si ricava la cantina per il latte, il formaggio e, più tardi le patate e sulla quale poggiano dei funghi in pietra o in legno che supportano un fienile o una rimessa per i cereali; i funghi, chiamati stoadalbein, sono indispensabili per proteggere i prodotti della terra dall'umidità e dagli animali.
Sulla porta d'ingresso viene fissata una croce in legno e sull'architrave sono scolpite la data di costruzione e le iniziali del proprietario, unite ai simboli cristiani: IHS con una croce o l'ancora; tutti questi elementi si ritrovano spesso anche sul trave maestro e testimoniano, anch'essi, del profondo sentimento religioso che ha sempre animato la popolazione di Issime, portandola persino a manifestazioni e a credenze esasperate e imbevute di superstizioni.
I Walser giungono dunque, presumibilmente, in questi luoghi verso il XII° secolo e qui si fermano sulle alture, costituendo l'insediamento più meridionale di questa popolazione. Il fondovalle era già occupato, come abbiamo visto, e ne troviamo testimonianza nella bolla di Papa Lucio III che, nel 1187, cita la chiesa parrocchiale di Issime. Non abbiamo motivo di ritenere che il nuovo insediamento abbia creato scompiglio nella comunità più antica o siano nati dissapori o discordie fra due genti così diverse per cultura, lingua e usanze. E' possibile, anzi, che il piccolo gruppo del piano stesse attraversando un periodo di stasi, di lento adagiarsi ad un ritmo di vita incolore e senza particolari stimoli per cui l'arrivo di linfa nuova e spirito di intraprendenza sia stato accolto con piacere perché ciò significava la ripresa delle attività con rinnovato entusiasmo per cui ben presto tutto il territorio di Issime assume gli aspetti caratterizzanti la popolazione alemanna, eccezion fatta per la parte più a nord, attuale Gaby, Oberlann in töitschu, dove permane ancora oggi una comunità di etnia franco-provenzale, tipica della Valle d'Aosta.
In quei secoli il Ducato di Aosta era suddiviso fra molte famiglie nobili fra le quale emergono quella degli Challant e quella dei Vallaise, che , fra gli altri numerosi e ricchi possedimenti dentro e fuori dai confini valdostani, annoverano anche le valli del Lys e di Ayas. Lunghi dissidi caratterizzano i rapporti di convivenza fra queste due famiglie, soprattutto per il possesso di alcune terre particolarmente interessanti per le comunicazioni e il commercio.
Issime è un possedimento dei Vallaise che qui fissano una delle loro sedi sia per la riscossione dei tributi e delle tasse sia per l'amministrazione della giustizia, che per molti secoli interessa anche la popolazione di Gressoney. Gli issimesi godono di uno statuto particolare che garantisce loro privilegi, immunità e franchigie. Esso era stato loro concesso dai Vallaise nel 1320 ed aveva subìto ulteriori ampliamenti e conferme nei secoli successivi. Questo documento di affrancamento nasceva da decisioni prese di comune accordo fra gli uomini della comunità e i Signori i quali non potevano esimersi dall'accettarle. Lo statuto contiene numerose disposizioni amministrative che stabiliscono i diritti fiscali e giudiziari dei Vallaise da una parte e sancisce la libertà degli abitanti con tutte le loro terre. Così essi erano soggetti al pagamento di una tassa "una tantum" che li esonerava da ogni altro peso fiscale successivo; potevano spostarsi liberamente sul territorio di proprietà del Signore; i figli dei due sessi ereditavano sia dal padre sia dalla madre i beni mobili e immobili; se, però, una ragazza prendeva marito, nulla poteva pretendere dall'eredità; coloro che dovevano prestare servizio nelle milizie del Signore erano tenuti a pagare le spese degli spostamenti qualora questi si effettuavano sul territorio di proprietà del signore stesso il quale, invece, si sobbarcava ogni spesa nei casi in cui si doveva uscire dai confini; da queste spese erano esentate le vedove e i fanciulli di età inferiore ai quindici anni; raggiunta questa età, anche essi, godevano di una certa libertà, potevano per esempio, firmare dei documenti anche se dovevano sottostare al consenso dei tutori. Nello statuto venivano inoltre precisate a quali ammende e punizioni erano soggetti i vari reati commessi contro il signore, gli amministratori e la proprietà comune e privata.
A partire dal XIII° secolo Issime era il capoluogo del mandamento, la sede del tribunale e qui risiedevano il giudice avvocato e il castellano notaio; i giudici dei Vallaise cessarono la loro attività nel 1770 e l'ultimo membro della nobile famiglia fu il conte Alessandro il quale morì nel 1823 dopo aver ricoperto la carica di primo Segretario dello Stato e ministro degli Affari Esteri sotto il regno di Vittorio Emanuele I° e aver rappresentato il Regno di Sardegna al Congresso di Vienna nel 1815.
Nella piazza principale si può vedere una copia del banco a tre stalli su cui sedevano il Giudice e i suoi consiglieri per amministrare la giustizia; l'originale si trova nella vicina chiesa parrocchiale. Lo stallo centrale dello scranno in noce risalente al 1700, più largo e alto degli altri due, reca scolpito lo scudo dei Vallaise, sostenuto da due cervi, con il collare dell'Annunziata e i simboli dell'autorità giudiziaria, la chiave e la spada. Accanto al tribunale è fissata una pesante catena in ferro terminante con un collare: essa veniva applicata al collo, ad un braccio o ad una gamba del malfattore il quale, secondo la gravità della colpa, doveva subire la messa alla pubblica berlina sulla piazza per un numero di domeniche determinato dal verdetto di condanna.
Fin verso la seconda metà del XVIII° secolo, il territorio di Issime fu suddiviso in tre zone, per quel che concerne la vita amministrativa del comune. Ciò si era reso necessario per vari motivi. La superficie occupata non era certo molto estesa ma, la configurazione morfologica del territorio rendeva spesso difficili e, nei mesi invernali, impossibili gli spostamenti degli abitanti verso il capoluogo e i contatti fra di loro. Se a questo si aggiunge la diversità di etnia e di lingua, si può capire come ogni parte più densamente abitata e cioè, il fondovalle del Duarf, denominato la " Plaine ", i valloni di San Grato e di Bùrrini, designati con il nome di " Montagne", le due zone walser, e la parte superiore, verso Gressoney, all'incirca l'attuale comune di Gaby, di cultura e lingua franco-provenzale, chiamato " Tiers dessus ", ritenesse indispensabile di trovare il modo per essere rappresentati convenientemente in seno all'assemblea degli amministratori pubblici. Si giunse così all'elezione, per ogni " Terzo", di un sindaco che durava in carica un anno, e di tre o quattro consiglieri, il cui mandato si estendeva per quattro anni, tutti scelti fra i capi famiglia più influenti per ricchezza e cultura.
L'assemblea comunale si riuniva, abitualmente, la domenica dopo la Messa Grande e dopo aver suonato la campana principale, nel capoluogo di Issime Saint-Jacques. Particolari necessità e problemi ai quali urgeva una soluzione, potevano richiedere la riunione dell'assemblea anche in un giorno feriale, cosa che avveniva sempre dopo l'annuncio della campana, come si faceva anche quando si doveva riunire la popolazione.
Il villaggio di Gaby era chiamato Issime Saint-Michel, dal nome della cappella che serviva i fedeli della zona e che fu eretta a chiesa parrocchiale nel 1786.
Nel gennaio del 1763, dopo che il re Carlo Emanuele III° aveva uniformato il ducato di Aosta alle leggi del regno sardo, anche la comunità di Issime dovette provvedere all'elezione del nuovo consiglio comunale. Tutti i capifamiglia si riunirono per eleggere sette consiglieri i quali poi sceglievano chi fra di loro doveva assumere l'incarico di sindaco per un anno, trascorso il quale, il primo cittadino passava il testimone al consigliere più anziano e lui diveniva primo consigliere. Fu anche assunto un segretario, che doveva essere notaio, al quale veniva dato un compenso annuale di venticinque livres. Alcuni consiglieri chiesero di ricevere anche loro un compenso per i servizi resi per il bene della comunità a spese della loro occupazione abituale con conseguente perdita di reddito e, non avendo ottenuto quanto chiedevano, si rifiutarono di prestare il giuramento richiesto. Il vicebalivo del ducato ordinò loro di seguire quanto stabilito dalle leggi entro tre giorni pena il pagamento di un'ammenda di venti livres.
L'abolizione dei tre sindaci provocò molto malcontento e spesso dissapori e difficoltà di varia natura fra la popolazione ma la richiesta di ritornare alla vecchia istituzione della divisione in tre zone non fu accolta.
Issime d'ora in poi segue l'evoluzione, le vicissitudini, i cambiamenti storico-politici ed economici della Valle d'Aosta. Così in seguito alla dominazione napoleonica , il comune di Issime fa parte del Canton di Fontainemore, circondario di Aosta, dipartimento della Dora; partecipa ai vari conflitti, dalle guerre di indipendenza, alle conquiste coloniali, alle due guerre mondiali, con giovani e uomini che non sempre fanno ritorno, lasciando famiglie nel dolore e in gravi difficoltà economiche che vengono superate solo grazie alla generosa partecipazione della comunità. In particolare è ancora vivo il ricordo dei giorni terribili di luglio e agosto 1944, quando, per vendicare la sparizione di due militi che facevano parte del commando presente in paese, i tedeschi presero in ostaggio 20 persone e minacciarono di ucciderle e di incendiare tutto il paese se entro due giorni non fossero stati consegnati i due militi e le loro armi. Solo l'intervento del parroco presso il comando tedesco offrendosi egli stesso come unica vittima riuscì a salvare i prigionieri e ad evitare che il paese fosse distrutto. E anche il curato ebbe salva la vita. L'anno successivo, a causa di false informazioni riguardanti una presunta connivenza degli issimesi con i partigiani, fu incendiato un villaggio ma non vi furono vittime umane.
La vita economica, per tutti questi secoli, si basa essenzialmente sull'allevamento del bestiame: bovini, ovini, caprini e suini e animali da cortile i quali, oltre che fornire la carne, il latte e latticini, le uova per il sostentamento della famiglia, sono oggetto di scambi commerciali nei mercati della bassa valle d'Aosta, del Canavese e delle valli vicine, e sulla coltivazione di segale, orzo, frumento e avena, di legumi, fave e piselli, e di ortaggi quali cavoli, rape, cipolle; ma questa produzione era sufficiente appena a soddisfare i bisogni della popolazione. Accanto a queste attività che coinvolgono tutti i nuclei famigliari, vengono praticati numerosi altri mestieri e professioni quali notai, avvocati, prestasoldi, piccoli commercianti locali, percettore di imposte, boscaioli che forniscono la legna per le fucine del luogo e dei paesi vicini, fucine che lavorano il minerale di ferro proveniente dalla Valchiusella, in Piemonte, nonché numerosi osti e piccoli artigiani, del ferro e del legno, e muratori. Questi ultimi alimentano anche in gran numero le fila degli emigranti che, sin dal 1600 e fino ai primi decenni del 1900, si recano in Savoia, nel Vallese e in altri paesi della valle e fuori, per realizzare maggiori guadagni, per avere nuove esperienze o, più semplicemente, per trovare un modo adeguato e dignitoso di mantenere la famiglia che, sempre numerosa, il più delle volte, rimane al paese dove è la donna ad occuparsi di ogni incombenza .
Generalmente questo spostamento di forza lavorativa avveniva dalla primavera all'autunno inoltrato, ma non sono rari i casi in cui anche tutta la famiglia lasciava il paese per non farvi ritorno che occasionalmente.
Issime conosce secoli di relativo benessere come è testimoniato dalle grandi case in pietra del capoluogo, con cortile chiuso alla via antistante da un muro di recinzione e una porta carraia, con scale e corridoi interni, con numerose stanze nonché una o più stalle al pianterreno e un fienile al piano superiore. Queste case risalgono al 1500-1600.
Un'altra importante testimonianza della disponibilità finanziaria del paese è rappresentata dalla Chiesa parrocchiale dedicata a San Giacomo apostolo, festeggiato il 25 luglio, che fu ricostruita nel 1683 con la partecipazione di tutta la comunità ad opera dei fratelli Ferro di Alagna in Valsesia. Nel 1697 si decise di costruire l'altare maggiore in legno di abete e di pino cembro, arricchendolo di numerose statue, colonne e fregi dorati. I lavori furono affidati ai fratelli Gilardo di Campertogno, Valsesia.
L'anno successivo la comunità di Issime firma una convenzione con Francesco Biondi il quale si impegna di dipingere la facciata della chiesa con la rappresentazione del Giudizio Universale; questo pregevole manufatto fu restaurato nel 1790 da Antonio Jacquemin di Riva Valdobbia e, recentemente, nel 1970, dall'Amministrazione Regionale della valle d'Aosta. La facciata è stata dichiarata Monumento nazionale, così come il campanile adiacente che risale al primo millennio, almeno nella sua parte inferiore.
Il sagrato della chiesa, che anticamente era adibito a cimitero, è delimitato ad ovest da una serie di nicchie dipinte, raffiguranti i quindici Misteri del Rosario con Santi e Sante ad incominciare dagli Apostoli. Così viene precisato nella convenzione stipulata nel 1755, a seguito di un lascito, tra la comunità e il pittore di Valprato in Val Soana, Piemonte, certo mastro Antonio Facio.
Lasciti, legati, donazioni sono istituti molto ricorrenti nel XVII° secolo e successivi con i quali sono state erette le numerose cappelle dei villaggi del fondovalle e dei valloni laterali, nonché fondata la scuola pubblica.
Nel 1737 la signora Jacquême Linty, nata Biolley, lascia con testamento una casa e un podere con rendita per l'istituzione di una scuola ad Issime Saint-Jacques e nel 1757, il reverendo Jean Christille di Issime lasciò, per la suddetta scuola, un legato di 5000 franchi, a condizione che la scuola fosse aperta per almeno dieci mesi e che in essa venissero insegnati i primi elementi di latino oltre gli insegnamenti tradizionali che erano sempre impartiti in lingua francese, la lingua ufficiale della Valle d'Aosta. Anche per le ragazze fu aperta una scuola la cui durata si limitava tuttavia a soli 3 - 4 mesi; le giovani imparavano a leggere e scrivere e i lavori manuali indispensabili ad una buona madre di famiglia. L'insegnamento, inizialmente, era affidato ad un sacerdote che non poteva ricevere alcun compenso, ciò al fine di permettere l'accesso ad un'istruzione di base a tutti i bambini, anche a quelli delle famiglie più disagiate. Più tardi fu possibile affidare l'incarico ad un laico perché c'erano i fondi necessari per il suo onorario. La scuola femminile veniva affidata ad una donna alla quale non necessariamente era richiesta una buona preparazione culturale, ma che doveva condurre una vita irreprensibile dal punto di vista morale. Anche la maestra riceveva un compenso, benchè inferiore a quello del maestro.
Non vi era un edificio adibito a scuola, si affittava una stanza in qualche casa privata, possibilmente vicino alla chiesa, e gli scolari procuravano la legna per il riscaldamento nei mesi invernali, così fu fino ai primi anni del Novecento.
Prima di queste istituzioni, esisteva, senza dubbio, una scuola, sul territorio perché, fin dal 1432, il Vescovo di Aosta incarica il suo braccio destro, l'Arcidiacono della cattedrale, di reperire insegnanti per la città di Aosta e per tutta la diocesi; inoltre, la presenza nel paese di molti notai, avvocati, medici e uomini di cultura, consiglieri del Signore di Vallaise, sono il frutto di queste prime scuole.
Con l'Unità d'Italia, nel 1860, il Governo centrale volle eliminare ogni particolarismo regionale, e intervenne in campo scolastico proibendo l'uso e l'insegnamento della lingua francese in ogni scuola. Ciò provocò molto malcontento ed è risaputo che, almeno nelle scuole dei paesini di montagna, non furono introdotti cambiamenti sostanziali e si continuò nell'insegnamento tradizionale. Le cose furono ben diverse sotto il regime fascista, quando l'italianizzazione fu più radicale e soggetta a severi controlli.
Nei primi decenni del secolo scorso fu aperta nel nostro paese una scuola superiore, d'Obru Schul, con lo scopo di offrire ai ragazzi e alle ragazze la possibilità di continuare in loco ad accrescere le loro conoscenze, seguendo i corsi del ginnasio con un esame finale in una scuola pubblica.
Nel secondo dopoguerra, la ricostruzione, la rinascita e il rilancio economico hanno interessato anche la nostra comunità che sempre più ha rivolto le sue attenzioni verso la bassa valle e il canavese, dove hanno trovato nuovo impulso numerose piccole e grandi industrie. Ricordiamo l'Olivetti ad Ivrea e l'Illsa Viola a Pont Saint Martin, che hanno offerto lavoro a molti operai ed impiegati, fino a quando la crisi economica non ha determinato la chiusura dell'acciaieria di Pont Saint Martin e drastiche riduzioni di personale nelle altre fabbriche.
Il pendolarismo giornaliero o il trasferimento definitivo del nucleo famigliare hanno però causato l'abbandono del nostro paese e delle attività tradizionali, allevamento e artigianato, sempre meno remunerative. Questo fenomeno ha interessato molte altre comunità di montagna, per cui il governo regionale si è trovato nella necessità di prendere delle iniziative e dei provvedimenti al fine di evitare lo spopolamento della montagna. Sia l'attività agricola che quella artigianale hanno così potuto, grazie ad incentivi finanziari ed agevolazioni varie, rinnovarsi e rientrare nel mondo economico.
Dal 1966 e fino al 1984, le donne di Issime e dei paesi vicini hanno avuto la possibilità di inserirsi nel mondo del lavoro grazie all'apertura in paese di laboratori artigianali di rammendo di tessuti e di produzione di abbigliamento e articoli sportivi per conto di alcune industrie del canavese e del biellese.
Attualmente l'allevamento del bestiame concerne essenzialmente bovini e, se fino agli anni Settanta coinvolgeva quasi tutte le famiglie con pochi capi di bestiame ciascuna, ora le aziende agricole sono meno numerose, circa venti, ma contano un numero più elevato di capi, in media trenta, e quasi tutte praticano la transumanza estiva negli alpeggi del paese.
Solo il 19% dei fondi agricoli di proprietà di una sola famiglia supera i 50 ha., mentre il 47% occupa una superficie che varia da 2 a 10 ettari.
Nel nostro comune sono in vigore delle unità di misura agrarie particolari: d'koartunu lann equivalente a 609 mq., è la più usata, mentre d'meedzu lann che corrisponde a 304,5 mq. e d'summi lann, 1218 mq., sono ormai quasi cadute in disuso.
Gli artigiani sono falegnami, muratori, piccoli imprenditori edili, elettricisti e idraulici.
Oltre a queste occupazioni, gli Issimesi trovano sbocchi lavorativi in loco e nei paesi vicini come insegnanti nelle scuole di ogni grado, impiegati in banche e uffici, operai nelle fabbriche della bassa valle, nel Corpo Forestale regionale e negli impianti di risalita del comprensorio del Monterosa Ski, a Gressoney.
Issime è stato uno dei primi paesi della valle d'Aosta ad accogliere, fin dagli ultimi anni dell'Ottocento, villeggianti e turisti durante il periodo estivo, grazie alla sua posizione in media montagna. Il clima mite, la buona esposizione, la particolarità dei paesaggi e l'ordine e la riservatezza dei suoi abitanti, offrono un luogo ideale sia per chi cerca tranquillità e riposo, sia per chi vuole avvicinarsi alla montagna seguendo i sentieri meno conosciuti e frequentati, alla scoperta di angoli di impareggiabile bellezza e ricchi di storia. La vicinanza delle piste di sci di Gressoney richiamano sportivi e amanti della montagna anche nel periodo invernale.
LE TRADIZIONI

E' indispensabile fare una premessa a questo capitolo.
Quanto viene qui di seguito esposto corrisponde ad uno spaccato della vita economica e sociale della nostra comunità fino agli anni Sessanta circa, fino a quel momento, cioè, in cui su tutto il territorio nazionale e regionale si verificano cambiamenti, trasformazioni, progressi e dimenticanze, ansie di rinnovamento e di adeguamento, che portano ad una migliore e più confortevole vita quotidiana, disponendo di maggiori risorse finanziarie, nonché ad una situazione sociale generale più umana, ma anche ad un livellamento di tutti quegli aspetti culturali che contraddistinguono e caratterizzano un gruppo sociale. Ciò comporta quindi che vengano dimenticati, cancellati e ignorati, quasi fossero negativi e riduttivi, molti momenti che pure hanno rivestito un'importanza essenziale nella vita culturale di chi ci ha preceduto.
La nascita di un bambino non rappresentava, in passato, un momento così importante e festeggiato come avviene oggi. Tuttavia venivano osservati scrupolosamente dei principi comuni alle famiglie di ogni rango sociale.
Il neonato doveva essere battezzato entro tre giorni dalla nascita, in caso contrario non venivano più suonate le campane al momento del battesimo, così come avveniva nel caso in cui non fosse noto il padre del nascituro. Fino al momento in cui non veniva somministrato il sacramento, si doveva tenere accesa una candela in casa, giorno e notte.
Il battesimo veniva impartito alle due del pomeriggio e il bambino era accompagnato in Chiesa dal padrino e dalla madrina, che indossavano il costume locale, preceduti da un bambino che portava un cero. Se il padrino era un membro del consiglio comunale o un personaggio di riguardo, il curato doveva indossare il piviale. Per questa occasione, il padrino doveva fare in modo di avere il portafoglio ben fornito come augurio di fortuna e ricchezza per il neonato e provvedeva, a sue spese, alla distribuzione, sulla piazza del paese, ai bambini che assistevano al rito prima di recarsi a scuola, di una pagnotta di pane bianco, una vera leccornia.
La madrina, dal canto suo, portava in dono alla madre caffè, burro, uova e dolci in un cesto di vimini comprato per l'occasione ed aveva la possibilità di scegliere uno dei tre nomi dati al bambino; la scelta degli altri due spettava al padrino e ai genitori.
Il neonato veniva adagiato su un cuscino, sotto una copertina di seta colorata sulla quale erano appuntati, ai quattro angoli, dei fiocchi rosa, se si trattava di un maschietto, azzurri se era un femminuccia. Su di essa veniva posto un ampio pizzo bianco. Prima del battesimo, il neonato portava una cuffia abbellita da una coroncina di fiori multicolori, che, durante il battesimo, veniva sostituita da un cuffia bianca.
La cerimonia si concludeva, a seconda delle disponibilità economiche, con un rinfresco offerto dal padrino a tutti i presenti o con una cena in famiglia riservata ai parenti più stretti.
La madre, nei giorni seguenti la nascita del bimbo, era tenuta a recarsi in Chiesa per ottenere dal Parroco una speciale benedizione di purificazione.
I bambini, pur essendo amati e ben accolti, non attiravano su di sé particolari attenzioni: venivano allattati molto a lungo, erano curati con premurosa solerzia in caso di malattia, ma la morte prematura di un infante veniva accettata come un fatto naturale benché doloroso. Molto presto un bambino doveva occuparsi di un fratellino o una sorellina minore, doveva cullarlo quando piangeva, custodirlo e seguirlo nelle sue necessità, distrarlo, coccolarlo e anche sgridarlo, doveva, insomma, con il passare degli anni sostituirsi sempre di più ai genitori impegnati nei vari lavori dentro e fuori casa, e fintanto che non veniva sostituito da un altro fratello. Il tempo per i giochi non era molto ma, durante il pascolo, nelle prime ore del pomeriggio, nelle giornate di cattivo tempo o la domenica , i bambini potevano dedicarsi al gioco, con i fratelli e con gli altri bimbi del villaggio. Giocavano con mucche in legno stilizzate, piccoli zufoli e fischietti, semplici bamboline di pezza o di carta, cerchi in metallo che facevano rotolare sui sentieri con l'aiuto di una bacchetta, fionde, piattelli di pietra lanciati il più vicino possibile a un punto prefissato, archi e frecce, giochi di gruppo come nascondino, i quattro angoli, ecc., e, durante l'inverno, con le slitte in legno scendevano chiassosi dai pendii innevati, sia nelle ore di sole sia nelle notti di luna piena. Allora spesso si univano anche i giovani e le ragazze e si usava la slitta grande, il mezzo più consueto per trasportare legna, fieno e altro materiale. Però la maggior parte del tempo dovevano dedicarlo alle faccende domestiche e ai lavori dei campi.
I giovani raggiungevano presto l'età per pensare al matrimonio e si sceglievano liberamente secondo i loro gusti.
Tutte le famiglie, anche quelle che disponevano di mezzi economici modesti, facevano il possibile per dare all'avvenimento del matrimonio l'importanza dovuta e renderlo degno di essere ricordato e raccontato.
Il matrimonio si celebrava abitualmente nel periodo invernale e i giorni preferiti erano il lunedì o il giovedì, e, più tardi, il sabato. Lo sposo sosteneva tutte le spese concernenti il matrimonio e la nuova casa, ivi compreso l'abito della sposa, che fino all'inizio del secolo scorso era il costume locale: abito lungo di panno di lana nera, la cui gonna è molto ampia grazie a numerose piccolissime pieghe nel girovita e, verso il fondo, presenta tre balze di velluto, mentre il corpetto ha maniche arricciate nella parte superiore e pizzi bianchi e neri ai polsi e al girocollo. Sull'abito viene indossato un grembiule di seta cangiante di vari colori e sulle spalle uno scialle in seta con frange che riprende i colori del grembiule. La giovane sposa sfoggiava i gioielli di famiglia: una croce e uno o più cuoricini d'oro scendevano sul petto appesi ad un nastro di velluto nero. Il copricapo consiste in una cuffia con crestina di pizzo bianco dietro la quale spicca una ricca corona di fiori variopinti; dalla nuca scendono sulle spalle dei nastri di seta colorati. In occasioni speciali, quali appunto il matrimonio, un battesimo o la festa patronale, sulla cuffia veniva fissato un prezioso velo che scendeva sulle spalle.
Lo sposo indossava un frac di lana nero con panciotto sul quale scintillava la catena d'oro che tratteneva l'orologio nel taschino; la camicia bianca seguiva la moda del tempo ed era completata da una sciarpina di seta o da una cravatta. Sempre portava il cappello sul capo.
Nei secoli scorsi venivano stipulati veri e propri contratti di matrimonio nei quali erano precisati i diritti e i doveri degli sposi ed elencati i beni che la sposa portava in dote. Spesso dei capi di biancheria per la casa e personali, dei capi di bestiame, del vasellame e anche denaro.
Dopo la cerimonia religiosa, alla quale la madre della sposa non assisteva e che era preceduta da una promessa civile in municipio, la coppia e gli invitati si recavano alla casa dello sposo dove li attendeva il banchetto nuziale. Il menu comprendeva: salumi vari, prosciutto crudo e lardo in salamoia, castagne e burro, risotto, bollito misto con patate lesse, arrosto e, per finire frutta secca e panna montata. Quando veniva servito l'arrosto, gli amici dello sposo facevano scoppiare dei mortaretti in segno di festa. Dopo la cena si aprivano le danze alle quali potevano partecipare tutti.
Se un fratello o una sorella maggiore di uno degli sposi non aveva ancora contratto matrimonio, gli veniva regalato un caprone bianco in segno di burla.
Quando una ragazza del paese sposava un forestiero, questi doveva pagare un pegno ai giovani del posto: una brenta di vino. Se lo sposo si rifiutava, i ragazzi si armavano di qualsiasi oggetto o attrezzo atto a fare rumore e così equipaggiati, per le tre sere precedenti il matrimonio, giravano per il paese facendo un gran frastuono.
Oggi queste usanze rimangono nei racconti dei nonni. Il culto dei morti è molto sentito nella comunità di Issime e le sepolture hanno sempre assunto un tono di solennità.
Il decesso di una persona era annunciato con il suono della campana grande, come avviene ancora oggi, e un particolare rintocco indicava se il defunto era uomo o donna.
Le condizioni economiche della famiglia del defunto davano il tono alla funzione religiosa: quanto più denaro si poteva spendere, tanto più numerosi erano i sacerdoti presenti e officianti, così come si poteva accendere un numero di candele più elevato e per un tempo più lungo, o si poteva celebrare una messa cantata o cantata con musica. Per quanto modeste fossero le risorse di una famiglia, si cercava sempre di avere almeno tre preti.
I parenti più stretti non assistevano quasi mai alla sepoltura, per cui non si sentivano pianti o lamenti e tutta la funzione si svolgeva con dignitoso riserbo. Il rito funebre veniva celebrato alle ore dieci nel periodo invernale, ma era anticipato alle nove nella stagione estiva, al fine di dare a quanti prendevano parte alla funzione, ed erano sempre molto numerosi e rappresentavano ogni nucleo famigliare, la possibilità di sfruttare al massimo la giornata.
In questa occasione, si offriva un pasto caldo alle persone più bisognose e si facevano offerte in denaro per la Chiesa e per le Confraternite religiose.
Ancora oggi, parenti, amici e conoscenti si riuniscono al capezzale del defunto per pregare per la salvezza della sua anima, così come avviene per le tre sere successive al funerale.
L'inverno rappresentava, in passato un periodo pieno di difficoltà e di disagi per gli abitanti di Issime. Il grande freddo costringeva la famiglia a vivere nell'unica stanza riscaldata e situata sulla stalla, mentre tutti gli altri locali erano quasi inabitabili. Il gelo ricopriva pericolosamente i sentieri per cui le comunicazioni e i contatti erano ridotti all'essenziale, e spesso gelava l'acqua nelle fontane con le conseguenti difficoltà. Se si doveva trasportare fieno, legna o legname da un luogo ad un altro ci si serviva di una grande slitta in legno. Infine le giornate erano brevi e fredde, le notti lunghe, silenziose e spesso popolate da esseri immaginari, che ricorrono nelle leggende e nei racconti popolari.
Nonostante ciò, tutti vivevano questa stagione con grande gioia e serenità. Era il periodo, infatti, in cui la famiglia si trovava di nuovo unita dopo molti lunghi mesi in cui mariti e figli erano all'estero per lavoro . Essi tornavano al paese all'inizio di dicembre per fermarsi fino alla primavera. Portavano con sé i loro guadagni, nuove esperienze, nuove idee e un pensiero per le persone più care.
Inizia così un periodo ricco di balli, di pranzi, di falò e di piacevole e reciproca compagnia. La prima ricorrenza è rappresentata dalla festa di Santa Barbara, il quattro dicembre, celebrata nella cappella di San Grato, nel vallone omonimo. Seguivano l'Immacolata Concezione, l'otto dicembre, chiamata a Issime " il piccolo Natale", le feste natalizie e dell'anno nuovo, per continuare con il patrono invernale, San Sebastiano, il venti gennaio. Si era deciso di scegliere un santo patrono della parrocchia che potesse essere celebrato nel periodo invernale, in aggiunta al patrono san Giacomo la cui ricorrenza cade in estate, in quanto sia gli emigranti sia gli alpigiani potevano essere presenti. I patroni dei vari villaggi e il carnevale concludevano questo periodo, durante il quale venivano celebrati la maggior parte dei matrimoni.
Oltre a queste feste comandate, molte erano le occasioni per ritrovarsi in compagnia allegramente. Ricordiamo le veglie fra giovani e meno giovani durante le quali si giocava a carte, si raccontavano avventurosi episodi, si ballava al suono di una armonica a bocca e di qualche strumento a fiato per concludere la serata con uno spuntino a base di salumi casalinghi, formaggio, kanestri e risili, i dolci tipici e la panna montata, il tutto accompagnato da vino, grappa e caffè.
Le lunghe serate invernali erano però anche sfruttate per svolgere quelle attività alle quali non ci si poteva dedicare nella buona stagione, come filare la lana, torcere le cordicelle in canapa usate poi per cucire le suole delle pantofole in panno confezionate per tutti i membri della famiglia, riparare e preparare piccoli attrezzi agricoli, assemblare scope di rami di betulla, gerle e ceste, intagliare e tornire oggetti di legno di uso comune.
Le giornate erano impegnate nello svolgimento dei consueti lavori casalinghi e nella cura del bestiame. Nelle settimane precedenti il Natale, ci si dedicava alla preparazione in casa dei salumi. Quasi ogni famiglia allevava un maiale per questo scopo. Quando la luna e il segno zodiacale erano propizi, si procedeva alla macellazione del maiale. Dopo aver accuratamente selezionato le varie parti dell'animale, di cui nulla veniva sprecato, si univa la carne suina a quella bovina, che si acquistava da un vicino che, per l'occasione uccideva una bestia, per preparare vari tipi di salami: salame rosso o di prima scelta da consumare esclusivamente crudo e dopo un'adeguata stagionatura, salame bianco o di seconda scelta che poteva essere utilizzato sia cotto che crudo, salame di cotiche da cuocere e, infine, sanguinacci preparati con patate lesse schiacciate, lardo, sangue del maiale, sale e spezie. Venivano inoltre utilizzate varie altre parti del suino per la preparazione di prosciutto crudo, pancetta, lardo in salamoia, polpette di interiora fresche racchiuse in una foglia di cavolo o nella " teletta " dell'intestino, frittura di trippa e sangue cotti e sminuzzati. La carne eccedente veniva conservata sotto sale o affumicata o messa a congelare, appesa nel fienile. Questo era un vero e proprio avvenimento sociale molto importante in quanto erano coinvolti, non solo tutti i membri della famiglia, ma anche vicini di casa, parenti e gli uomini specializzati in questo lavoro.
L'arrivo della primavera coincideva con la partenza dei muratori e degli imprenditori verso altri paesi e con la ripresa delle attività all'aperto che gravavano sulle donne, sui figli più giovani e su quegli uomini che si dedicavano all'allevamento.
Si pulivano i prati, si seminavano le patate, la segale e gli ortaggi, si riparavano i sentieri e i muretti rovinati dalla neve o da qualche valanga, si ripulivano i ruscelli per l'irrigazione dei prati.
Nel mese di maggio, si saliva con le mucche nelle case di media montagna, z'berg, per consumare il fieno raccolto l'estate precedente e brucare la tenera erba primaverile, prima di transumare all'alpeggio. Questo avveniva, allora come oggi, il giorno di San Bernardo, il 15 giugno. Gli alti pascoli accoglievano le mandrie fino a San Michele, il 29 settembre.
Durante l'estate, le donne dovevano occuparsi della fienagione al piano, dove si facevano due tagli, uno a giugno e uno ad agosto, e nei prati della mezza montagna, per un taglio solo a luglio. Si trattava di un lavoro molto faticoso nel quale erano, quasi sempre, aiutate da falciatori del paese o che provenivano dalle valli vicine. Subito dopo si recavano, munite di un falcetto e di un telo di iuta, di qualche fetta di polenta e un pezzo di formaggio, quale pranzo, a tagliare l'erba che cresceva abbondante negli appezzamenti comuni, situati sempre in zone impervie e isolate.
Quando le mucche lasciavano l'alpeggio, si fermavano qualche giorno a brucare la seconda erba della zona intermedia, poi scendevano a valle a consumare il terzuolo.
Era giunto l'autunno. Nuove occupazioni si presentavano. Si dovevano raccogliere le patate, la segale e il frumento, e i pochi frutti che riuscivano a maturare a questa altitudine: pere, mele, prugne, noci, nocciole e pinoli. Si raccoglievano le foglie secche per la lettiera degli animali, si preparava la legna per l'inverno, si concimavano i prati. Spesso si facevano questi lavori aiutandosi scambievolmente e, il trasporto dello stallatico veniva effettuato, a volte, nelle serate di luna piena da gruppi di ragazze e giovani donne con l'aiuto di gerle.
Dopo la festa dei Santi e la commemorazione dei defunti, si risaliva con le mucche nelle baite di mezza montagna per consumare parte del fieno raccolto durante l'estate e qui ci si fermava fino all'inizio di dicembre. La festa di Santa Barbara concludeva questo periodo.

Èischeme: Walsertracht (Foto: Massimo Paganone)

Èischeme: Walsertracht (Foto: Massimo Paganone)